I Macchiaioli. Le collezioni svelate

Raccolta del fienoPuò risultare alquanto insolita l’idea che per conoscere i macchiaioli sia utile indagare anche tra le maglie del collezionismo privato che affiancò strada facendo questo importante movimento pittorico e ne perpetuò il ricordo e il messaggio poetico lungo i primi decenni del Novecento.
Cosa potranno mai avere a che vedere le vite di Rinaldo Carnielo, di Enrico Checcucci, di Mario Galli, di Edoardo Bruno, di Gustavo Sforni con le gloriose vicende del movimento toscano, che a partire dal 1855 attuò il radicale rinnovamento contenutistico e formale della pittura italiana?
A noi che di questi personaggi abbiamo letto gli aneddoti nei libri di Anna Franchi o nelle prefazioni ai cataloghi delle vendite all’asta redatte da Ruggero Focardi, da Enrico Somaré, da Emilio Cecchi, da Ugo Ojetti, è venuta la curiosità di saperne di più; partendo dai semplici dati anagrafici, faticosamente recuperati, abbiamo dato spessore alle loro personalità di uomini reali, con
abitudini e impegni lavorativi. Ci siamo tenuti distanti quanto basta tanto dall’idea generica di “amateur”, quanto dalle macchiette alla Fucini che rendono gradevolissimi i libri della Franchi e abbiamo cercato di restituire la specificità di ciascuno dei collezionisti di cui ci siamo occupati.
Ci siamo per così dire calati nella Firenze a cavallo tra Ottocento e Novecento, la città ridisegnata dall’architetto Poggi che ancora va procedendo nella sua vivace espansione urbanistica verso le zone limitrofe al centro storico, come l’elegante piazza Savonarola nei pressi della quale acquisiscono le loro abitazioni il milanese Ettore Sforni e il trevigiano Rinaldo Carnielo; gradualmente l’abitato si inoltra anche verso la campagna, seguendo la via Aretina, dove tra case popolari in via di recupero Enrico Checcucci impianta la sua fabbrica di mattoni. Del grande flusso di personalità del mondo politico e finanziario che erano giunte da Torino al tempo di Firenze capitale, qualcuno è rimasto e ha prosperato, come la famiglia di Carlo Maurizio Bruno.

In questa realtà, sopravvissuti all’epoca loro, operano gli ultimi macchiaioli: varcano il secolo i soli Banti, Fattori, Borrani, mentre Signorini muore appena nel 1901. Circondati dall’affetto delle nuove generazioni, aspirano – senza ormai averne più le forze – a un definitivo riconoscimento del loro valore. Nel 1901 si stringono nel ricordo di Diego Martelli, la cui collezione ha trovato una
sede istituzionale (sebbene provvisoria) in Palazzo Vecchio. La dissoluzione della collezione di Cristiano Banti, ad opera dei figli, va alimentando l’interesse del mercato intorno a questi artisti del recente passato. A interessarsi di loro sono ora imprenditori innamorati della bellezza, ora intellettuali impegnati nel dibattito culturale del tempo, ora semplici artisti capaci però di valutare nello specifico i meriti intrinseci della pittura dei macchiaioli.
Edoardo Bruno, imprenditore attivo a Firenze nel settore farmaceutico con la ditta Girolamo Pagliano (essa produce uno sciroppo depurativo famoso in tutto il mondo) e poi cofondatore della società farmaceutica Menarini, vive in una dimora rinascimentale alle porte di Firenze, dominata da una splendida loggia (più volte riprodotta in cartoline d’epoca) celebre per la spettacolare veduta sull’Arno e sulla città; ma il tesoro della villa è custodito al primo piano, la quadreria composta da oltre centoquaranta dipinti, tra i quali il noto Cucitrici di camicie rosse di Odoardo  Borrani, vera e propria icona della pittura macchiaiola, e Uliveta a Settignano di Telemaco Signorini, rimasto sino ad oggi inedito. Gustavo Sforni, collezionista, intellettuale, pittore e mecenate, abita un’elegante villa nel cuore di Firenze; egli è il rampollo di una ricchissima famiglia di banchieri e imprenditori milanesi. Imprenditore egli stesso, Gustavo Sforni è un cultore dell’opera di Giovanni Fattori di cui ama collezionare i piccoli formati, cioè le struggenti tavolette dipinte dal vero; egli ama accostarle alle opere di artisti a lui contemporanei. Durante i suoi viaggi a Parigi acquista dipinti di Van Gogh, Cézanne, Utrillo, Degas e una leggenda di Casa Sforni ci riferisce l’acquisto anche di opere di Amedeo Modigliani, che come sappiamo è molto amico del protetto di Sforni, il pittore Oscar Ghiglia. Innamorato dell’Oriente, delle civiltà cinese e giapponese, colleziona kakemoni e oggetti d’arte orientale; fonda anche una casa editrice – la cui direzione egli affida a Giovanni Papini – per diffondere la conoscenza di questi temi a lui cari. Per la prima volta dunque immaginiamo di entrare in Casa Sforni per ammirare opere mai viste di Fattori, di Ghiglia, di
Lloyd, di Puccini e rivivere – attraverso l’accostamento di opere di epoche diverse – le emozioni estetiche di questo raffinato cultore d’arte. Mario Galli, scultore fiorentino, non ha certamente i mezzi di un forte imprenditore, pure tra le sue mani passano i più importanti capolavori macchiaioli che egli religiosamente raccoglie esponendosi economicamente oltre misura per essere
poi costretto a cederli a importanti collezionisti, come Giacomo Jucker o Emanuele Rosselli: sue sono le splendide solari vedute di Castiglioncello di Borrani, sua la bellissima Ciociara di Giovanni Fattori, non più vista da tempo. Frattanto il mercato dell’arte, orientato dagli studi di Enrico Somaré, di Ugo Ojetti, di Mario Tinti, di Emilio Cecchi, s’interessa sempre di più dei macchiaioli e
Milano diventa centro privilegiato di esposizioni e vendite all’incanto. Se ne avvantaggiano i collezionisti lombardi come Giussani, Toscanini e Jucker. Sono gli accostamenti di quadri macchiaioli con l’arte dell’impressionista italiano Federico Zandomeneghi, con De Nittis, con Alberto Pasini, con il belga Émile Claus, con Alfred Stevens a caratterizzare la collezione milanese di Camillo Giussani, personalità poliedrica di giurista, intellettuale, latinista e sportivo amante della montagna; presidente della Banca Commerciale Italiana, Giussani ha legato il suo nome alla ricostruzione postbellica di Milano, quale consigliere comunale della sua città.
Mario Borgiotti, livornese, unisce alla passione e all’intuito di Mario Galli la competenza del grande divulgatore: a lui si devono fondamentali pubblicazioni dedicate ai macchiaioli edite nel corso degli anni cinquanta e sessanta del Novecento. La sua attività si svolge tra Firenze e Milano, prevalentemente in un ambito cronologico successivo a quello contemplato da questo nostro percorso; tuttavia non potevamo mancare di ricordarne la pionieristica figura, attraverso l’opera più eclatante cui Borgiotti ha legato il suo nome, cioè Il Ponte Vecchio a Firenze di Telemaco Signorini da lui recuperato fortunosamente sul mercato inglese.

La scheda tecnica della mostra

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